Shoma Morita è stato uno psichiatra giapponese nella prima parte del ventesimo secolo, un contemporaneo di Freud. La sua terapia fu influenzata in gran parte dai principi psicologici del Buddismo Zen. Inizialmente, Shoma Morita lavorava solo con persone che soffrivano d’ansia. In Giappone questo era chiamato shinkeishitsu. Successivamente, i seguaci di Morita estesero l’uso del suo approccio al lavoro con persone che soffrivano anche di altri problemi, compresi i malati terminali di cancro. L’obiettivo principale del lavoro di Morita non era tanto quello di “liberarsi” del problema, quanto quello di aiutare le persone a concentrarsi sul vivere la vita pienamente nonostante i problemi e le emozioni negative che ne scaturivano.
Nella maggior parte delle culture occidentali, diversamente dal pensiero di Morita, si pensa che le emozioni guidano molte delle nostre azioni. Nella terapia cognitivo-comportamentale (CBT, cognitive behavioral therapy,), ad esempio, l’ipotesi alla base della strategia terapeutica è che il modo in cui pensiamo influenza il modo in cui ci sentiamo, che a sua volta influenza e determina il modo in cui agiamo (o ci comportiamo). Morita aveva una visione molto diversa. Egli sosteneva che tutte le emozioni sono naturali. Quando le persone vincono un premio o ricevono un complimento, generalmente, si sentono felici. Quando perdono un bene prezioso o vivono l’esperienza di un lutto, contrariamente sono tristi o devastati. Morita credeva che non ci fosse bisogno di provare a cambiare o “aggiustare” pensieri ed emozioni. Piuttosto, sosteneva che dovremmo accettare la realtà così com’è (arugamama). Secondo Morita, quando ci sentiamo arrabbiati o depressi, preoccupati o soli, dovremmo accettare questi sentimenti – come parte dalla nostra realtà – e concentrare la nostra attenzione sul come continuare a vivere bene nonostante le emozioni negative, muovendo i passi necessari per poterlo realizzare. In questo modo diventiamo capaci di lasciare andare e venire i pensieri e le sensazioni – come il sole o la tempesta – e continuare a fare ciò che è importante o necessario nella vita.
La maggior parte delle forme di terapia occidentali presuppongono che le persone debbano cambiare il loro modo di pensare per cambiare il modo in cui si sentono, così che alla fine si comportino diversamente. Le persone parlano del loro “bisogno di sviluppare l’autostima” in modo che possano “parlare in pubblico” o spingersi a “fare nuove amicizie”. Questo, secondo Morita, non è necessario e potrebbe al contrario peggiorare lo stato d’animo della persona incoraggiando l’individuo a concentrarsi su pensieri e sentimenti piuttosto che sull’azione. Morita disse: “Cercare di controllare il sé emotivo volontariamente con tentativi di manipolazione è come cercare di scegliere un numero su un dado lanciato o di respingere a monte l’acqua del fiume Kamo. Certamente, finiscono per aggravare la loro agonia e provare un dolore insopportabile a causa della loro incapacità nel manipolare le emozioni”. L’approccio di Morita non è in realtà un metodo per sbarazzarsi dei “sintomi”. È più un metodo educativo per superare i nostri limiti autoimposti. Attraverso i suoi metodi s’impara ad accettare la naturalezza di noi stessi. In questo modello, le persone sono incoraggiate a scoprire cosa possono fare di fronte ai diversi problemi della vita. La realtà non può essere controllata tanto meno conquistata. Impariamo a nuotare, o a costruire una barca! Se piove, prendiamo un ombrello o ci copriamo la testa con un giornale. In alternativa, ci bagniamo. Ma, se dobbiamo uscire, usciremo comunque! Qui sta il paradosso. Questa visione della vita è così semplice che, per alcune persone, è molto difficile da mettere in atto. O forse abbiamo secoli di condizionamenti che ci portano a credere che dobbiamo conquistare le nostre paure o lasciare il nostro passato alle spalle. Molte persone dedicano un’enorme quantità di tempo ed energia a provare a fare questo (il che implica cercare di gestire concetti astratti come “la paura” o “il passato”) e, di conseguenza, non vivere. Forse il problema è che pensiamo troppo e non facciamo abbastanza!
All’atto pratico, dovremmo quindi chiederci: “Che tipo di aiuto ho bisogno ora in particolare e per fare cosa esattamente?”
La sfida è trovare le risorse dentro di noi per fare tutto ciò che dobbiamo fare, per vivere una vita significativa, produttiva e costruttiva nonostante le avversità. Molte delle persone che attraversano il nostro cammino nella vita privata o lavorativa, o semplicemente le decine di passanti che incontriamo tutti i giorni, portano con sé insospettabili fardelli che ignoriamo, poiché mascherati da un aspetto esteriore apparentemente normale. Supponiamo che stanno bene perché tutto sommato stanno svolgendo le loro mansioni e vanno avanti.
Come scrisse la scrittrice scozzese Janice Galloway: “Il trucco è continuare a respirare”, dovremmo accettare la realtà così com’è (arugamama) e continuare a vivere indipendentemente”. A volte, non ci sono soluzioni ad alcuni problemi della vita e non possono semplicemente risolverli. Per questo, secondo Morita, è importante imparare ad avere la padronanza dello scopo ultimo che vogliamo raggiungere e “fare ciò che deve essere fatto” a prescindere dalle circostanze, per continuare a condurre la vita che vogliamo.
La prossima persona che incontrerai per la strada potrebbe soffrire di un disturbo bipolare, essere clinicamente depressa, avere subito traumi multipli, o avere pensieri suicidi. Non possiamo saperlo se non ce lo dicono. Se vivono una vita con uno scopo e hanno imparato a gestire gli sbalzi emotivi, quanto incide alla fine questo sul fatto che stanno comunque avanzando verso un obiettivo?