Quante volte ti dici “devo”?

Alla voce dovere, il dizionario recita: “obbligo morale di fare determinate cose, o concretamente ciò che l’uomo è obbligato a fare, dalla religione, dalla morale, dalle leggi, dalla ragione, dallo stato sociale ecc.”

Nella storia della filosofia il concetto di dovere fa la sua prima apparizione con gli Stoici che associarono a esso ogni comportamento dell’uomo assunto in conformità al dettato della ragione. Nell’etica kantiana, il concetto di dovere diventa una condotta conforme alla legge di ragione intrapresa unicamente in vista e nel rispetto di quella. Si viene così a creare una netta distinzione tra azione “legale” (azione conforme alla legge), e azione “morale” o dovere, cioè azione compiuta “per rispetto” della legge ignorando le inclinazioni naturali, e spesso in conflitto con esse.

Spesso quindi il dovere diventa un obbligo morale, ciò che si considera giusto a priori, senza averlo verificato, ma soprattutto senza aver valutato il caso specifico. Esempio: V’invitano a una festa di compleanno e vi dite che ci dovete andare altrimenti si offendono, quando in realtà non ne avete voglia. La suocera, cognata, nuora o chiunque altro v’invita a un pranzo quando avete pianificato tutt’altro, e ci “dovete” andare altrimenti si crea l’incidente diplomatico in famiglia? Quando accompagno le persone nel percorso di perdita di peso, mi sento spesso dire: “Devo dimagrire”. Ogni volta che qualcuno mi riferisce di “dover” fare qualcosa, la mia domanda immancabilmente è: “Chi ti obbliga?”. Generalmente la risposta è: “Nessuno”, oppure: “E ma sai se non lo faccio poi…”

Intraprendere una qualsiasi azione per “dovere” ci pone in una posizione di svantaggio e disagio. Moltissime azioni, infatti, non siamo tenute a farle ma ci sentiamo in dovere di farle per un senso dell’obbligo percepito che ci auto imponiamo. Quando i doveri sono di natura legale, è nel nostro interesse rispettarli ed è raccomandabile farlo se non vogliamo incorrere in problematiche sociali, sanzioni o avere problemi con la legge. In altre situazioni però il dovere diventa una trappola cognitiva che influenza (troppo spesso negativamente) il nostro modo di operare e di vivere.

Oscar Wilde diceva: “Il senso del dovere è simile a un’orribile malattia, distrugge i tessuti del pensiero come certe malattie distruggono i tessuti del corpo”.

Se è vero che nel quotidiano siamo tenuti a eseguire una serie di azioni “dovute”, come andare al lavoro, accudire i figli, occuparci di logistica e faccende amministrative, è anche vero che troppo spesso abusiamo della parola “devo” per attività che in realtà dovrebbero essere una scelta. I “devo” che ci diciamo hanno un peso ingombrante. Per tutte quelle cose che non sono davvero parte del funzionamento del nostro quotidiano o del rispetto della legge, ogni devo è un attentato al nostro volere.

La falsa percezione del senso del dovere spesso origina dal nostro contesto socio-culturale. Secondo i modelli sociali comuni, ci sono cose che si fanno e altre cose che non si fanno a prescindere da quello che davvero desideriamo. Troppo spesso si sceglie di fare una cosa e con un bel “devo” perché altrimenti una persona ci rimane male, perché chissà poi gli altri cosa dicono o cosa pensano, perché qualcuno si aspetta da voi un certo comportamento o vorrebbe che vi adeguaste a modelli che non vi appartengono, o ancora perché abbiamo paura di essere giudicati.

La presenza dei “devo” non colpisce solo il benessere personale di chi li adotta, ma anche la qualità dei rapporti con le altre persone. Gli standard rigidi su come pensiamo dovremmo comportarci in presenza degli altri si trasformano poi in un profondo senso di frustrazione e malessere, in casi estremi si assumono atteggiamenti aggressivi o si manifestano episodi di rabbia.

Come uscire dalla trappola dei “devo”? Per tutte quelle cose che non sono realmente un obbligo, e che soprattutto non ci va di fare, si esegue il test delle due domande magiche:

1.- “Ho davvero voglia di fare questa cosa?”

2.-“Chi mi obbliga a farlo?”

Se rispondete di no, non molto o non credo alla prima domanda e nessuno vi obbliga, se non la paura di un giudizio, di sentirsi inadeguati, per convinzione di qualcosa che probabilmente vi hanno fatto credere, allora pensate a come dire di no comunicando in modo efficace la vostra decisione e passate ad una attività che vi porta gioia e serenità senza mettermi da soli sotto la gogna di obblighi inesistenti.

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